24 Haziran 2009 Çarşamba

POESIA - MEHMET YASHIN - 1978-99

IL BAMBINO E IL SUO ALBERO

Albero della poesia che fiorisci in ogni clima
permettimi di arrampicarmi sui tuoi rami.

Resta dove sei, bambino, cadrai!

Se mi arrampico, devo farlo adesso
prima di perdere la folle audacia dell’infanzia

Fermo! I rami lì in alto son sottili.

O raggiungo le tue foglie più verdi
oppure cado e muoio

Istanbul, 1983



Il CANTO DEL MIO AMATO

Il mare era il canto del mio amato
la guerra ha gettato l’ancora nella sua voce azzurra
mio amato
soldato morto.

Il grano era il canto del mio amato
la guerra ha messo le manette al suo sguardo dorato
mio amato
soldato morto.

La pace era il canto del mio amato
la guerra ha spezzato in due la sua risata bianca
mio amato
soldato morto.

Sento il mio amato
intona canti il soldato morto
canti azzurri suonano alla porta della nostra casa.
Sento,
i canti per la pace più belli li intonano
coloro che muoino in guerra.

Nicosia, 1978


POESIA DI GIORNI CHE NON CI APPARTENGONO

i.

- Era Estella il tuo nome
la zia che prima di noi viveva in questa casa?
Avevi dei figli?
E questa fotografia qui sul muro
racconta del giorno del tuo matrimonio, zia cara?

- Era Estella il tuo nome?
Tue le mani che stendevano la biancheria sul balcone
prima di noi?
Tue le impronte di dita sulle piastrelle
tua la voce che si aggirava per le stanze
Zia, zia cara…

ii.
Sei la porta infranta con il calcio del fucile
il vestito che veste gli stranieri
la pentola che cuoce cibo per altri

Non sei altro che una fotografia vecchia
Neppure negli album v’è rimasto spazio.

iii.
Se solo potessi incontrarti un giorno
ne sarei molto felice, molto felice.

Metto da parte tutte le tue fotografie, ragazzina:
- il tuo compleanno, ecco
- la torta con tre candeline sotto l’albero di mandarino
- sei al mare con Zio Paperino
- dalla macchina saluti con la mano
- tuo padre e tua madre ti sorridono
e tu sorridi a me.

Te le ridarò, ragazzina:
ma di tanto in tanto mi si stringe il cuore
un pensiero mi angoscia
e se in guerra tu fossi stata uccisa?

iv.
Mi chiedo curioso
chi era il grecocipriota che leggeva questo libro?
Si è fermato a pagina 48.
Forse proprio in quel momento è stato chiamato alla guerra,
e il titolo del libro
era L’uomo non nasce soldato.

Avrei voluto avere dei ricordi con te
mangiare insieme un gelato
medicarti la ferita sulla mano
poter indossare il tuo impermeabile in un giorno di pioggia
E avrei voluto che tu sapessi che mi sono io stesso stupito
di come qui, così, io abbia potuto continuare
il libro che avevi lasciato a metà.

v.
Tutto intorno a me odora di sangue
sangue.

Io non sono un assassino
fate la pace con me fiori nei vasi
coperte, sedie
e fotografie negli album
io non sono un assassino.

Ovunque intorno me scorre sangue
sangue.

Se solo aveste vissuto e visto
io non sono un assassino.

Ankara, 1979


ULTIME FAVOLE DI EROISMO

La favola più seria

Nel momento stesso in cui iniziavano i discorsi di guerra
una donna grassoccia pensava a cose serie:
-- Mi farò cucire
un vestito nuovo, verde a pois arancio
rientrerò presto dalle mie visite
e cucinerò patate al forno.


La favola del nostro gatto

Quando ero piccolo mi chiedevo
se il gatto dei nostri vicini greci
fosse pure lui greco.
Un giorno ho chiesto a mia madre,
i gatti sono turchi
i cani greci, mi ha detto
e i cani attaccano i gatti.

Dopo un po’ un giorno
cosa vedo?
Il nostro gatto
mangiava i suoi stessi micini.


La favola raccontata in silenzio

Il “soldato silenzioso” lo chiamavano i suoi amici
nel taschino un piccolo Corano
al collo un amuleto benedetto
sarebbe andato diritto in paradiso quando lo avrebbero colpito.

Dio trovò il suo cadavere come un pugno di cenere
Non pensate che non lo abbia portato in paradiso
perché non aveva visto il Corano e l’amuleto.
Dio sospirò:
– Un uomo che muore di una morte così dolorosa
andrebbe senz’altro in paradiso
se avessi un paradiso.


La favola raccontata la domenica

Il generale va al mare la domenica
nuota come un pesce
pietruzze colorate raccoglie
e conchiglie.

Il generale costruisce castelli di sabbia la domenica
e mentre scava nella sabbia contento
trova un piccolo scheletrino
che fa piangere quell’omone come un bambino

Mi piace il generale la domenica.


La favola della nostra strada


Il nome della nostra strada
è “Via Martire Ahmet Kaya.”
Prima dell’ultima guerra
era “Via Martire Hasan Hayrettin”.
Mia madre dice che era stato
“Via Sergente Hayati, martire”
prima, prima ancora che io nascessi.

Nessuno ricorda, mio generale
quale fosse il nome della nostra strada
prima di essere “Martire”.

Nicosia-Ankara, 1979 (1983)




“Forse in questi giorni piove e la terra beve acqua in abbondanza. Il giardiniere tranquillamente dissoderà e concimerà. Fino ad allora sarò già uscita dall’ospedale e pianterò ciò che deve essere piantato. Lungo i bordi pianterò il pisello odoroso. Una volta potate le rose, aggiungerò sotto delle violette. Devo anche sfoltire i gigli quest’anno. Un giorno quando la mia morte arriverà, guarderai il nostro giardino e dirai... ”
– Da una lettera di mia madre


UN GIORNO

-- Quale morte, madre?
Tu sarai i gelsomini e le rose del nostro giardino
come la madre terra Artemide
e la terra che si rinnova e rinasce.

Al mio risveglio trovo fiori annaffiati
tutti si chiedono: chi è stato?
e proprio allora il passero che hai disegnato spicca il volo
simile a un’aquila sopra di me
lo so che sei tu
ma nessun altro lo sa.

Se le pagine dei libri sono sgualcite, capisco
con i tuoi occhiali a farfalla
ti poserai sulla verde poltrona Morris
ma nessun altro capisce.

Cornici dorate non possono contenere il tuo triste sorriso
col tuo abito da sposa frusciante di neri petali di rosa
fuggi via nella natura
in primavera ti infiammi con i melograni in fiore
in autunno oscilli da una solitudine a una solitudine

la gioia e la tristezza della quiete degli alberi
la vita contenta di sole e di pioggia
che calca eretta la terra
Quello sarai tu.

L’albero di pino che sfida la morte sul precipizio roccioso
la tolleranza che apre le sue fragili foglie
agli uccelli così come agli insetti
e la bellezza di amanti silenziosi
Quello sarai tu.

- Un giorno
la terra diverrà una madre
che fiorisce nutrendo i propri figli
e tu diverrai la terra.


“Conservo il libro che avete scritto per l’anima di vostra madre in una scatola di cioccolatini nel cassetto del comodino. Che Dio vi benedica figliolo... Ogni giorno recito per vostra madre una Yâ sîn e una Tebareke. Quando anch’io sarò morta chi le reciterà?Non sapete recitare una Fâtiha sulla tomba di vostra madre. Ormai non vi ricordate più di noi... Non ho tempo di prendermi cura del giardino. I susini, i mandorli sono diventati una foresta, i rami sono sopra le tegole (quelli del susino). Non c’è più nessuno che li pota. Il tetto perde acqua. Anche la cisterna sgocciola. Torna, riappropriati della tua casa, del tuo posto. Non avevate forse detto che sareste venuto il mese scorso per Pasqua. Ahimè ancora ua volta non era vero. Non siete venuto e neanche una lettera. Niente, niente, niente... né una parola, né un saluto, e anche quando morirò tornerete? ”
-Da una lettera di mia zia


ZIA-LINGUA

i. Casa-Vita Zia-Lingua

Peccato! Solo quando è morta ci si è accorti che è vissuta
quando la casa-vita si è fermata insieme al cuore della cara vecchia donna

- eppure nessuno di noi ha potuto confessare il suo sconcerto-

Ehi lettore! Ogni poesia è una confessione.


ii. Zia-lingua il cui nome è scolpito su una pietra

La maestra vedova quando c’erano gli Inglesi
a casa era Süreyya, per strada Judith
e tra gli amici Lâmia dai capelli aurei.
Poi i tempi sono cambiati
anche i vicini greci sono cambiati
non vi è più la casa di famiglia a Sarayönü
né la casa con giardino a Neapolis
- ancora guerra ancora guerra ancora guerra-
nessuna pietra è rimasta in piedi...
E poi sono arrivati i Turchi
a casa era Judith, per strada Süreyya.


iii. Zia-lingua si prende cura dei garofani

A lei spettò rendere uomini tutti i maschi della famiglia
- i nipoti nati morti, mio nonno, mio padre, io-
spalmare il Vicks sulla loro schiena, fare loro i maglioni di lana.
Le pulizie di primavera spettarono a lei
il tetto che scorre, la potatura degli alberi
e soprattutto la pulizia senza fine della casette da favola.
I nostri ricordi in rovina spettarono a lei, e le doti, le rate della casa
e gli alloggi per gli insegnanti e le barracche per gli immigrati
e passò in fretta la sua piccola vita trasportandosi da una guerra all’altra.
A lei spettò di mantenere svegli i nostri soldati di guardia
di recitare preghiere per i morti sempre a lei
di leggere il Corano in arabo e l’olio in latino
e correggere il mio turco in rosso
decidere infine dove piantare i garofani...


iv. La favola del drago di Zia-lingua

Ma il drago ha anche delle ali
e all’improvviso può prendere il volo.
due gatti a sorvegliare la sua porta – gate per cui gatte–
L’uomo è ospite nella sua stessa casa, c’era una volta
il drago ha due teste [eh eee?]
dal minareto lusignano guarda il cielo.
Sotto la tomba di Ahirvan Dede
gira e rigira – danza una fatina –
in verità all’improvviso può prendere il volo.
Lingue bugiarde e biforcute, doppie lingue e lingue infuocate [Hiii!]
la credono morta, ma sorveglia un tesoro
sepolto – e ogni cosa ha delle ali –
e all’improvviso può prendere il volo. [Uuuu?!]
Sale su per i sette cieli e una domanda scende giù, Com’era?
–Buoona, buoona, buoona –
Ma la vecchiettina poteva, a volerlo, diventare un serpente
un uccello, una lucertola o una lucciola. [Piu uuu...]
O forse siete un angelo? – Noo, no, no –
A dire il vero era la regina di quel paese,
e testarda come un mulo diceva sempre di No!
– è tornata la guerra – il re la rinchiude nel palazzo
ma all’improvviso può prendere il volo.


v. Zia-lingua e l’acqua benedetta

Verso sera sulle nebulose fumanti di gelsomino
vola una piccola piuma d’uccello
via è volata la cara zia, aveva 85 anni, ancora pochi.
Tra i rami dei verdi susini la luce stellare
è incenso che brucia con acqua di rose benedetta.
Innocente come un bambino
ovunque lei vada trova l’energia del sole
– e ancor di più consapevole del mondo –
una stella cometa filante strisciante... È volata
via la cara zia
rossa rosa selvaggia di lingua di spina
a volte capretta caparbia, a volte trabbocante di fragorose risate
e indifesa.

(....)


NOVE POESIE DI PASSIONE

Tra le sue mani fiori di Narciso

Il mio amore è tornato
è tornato da me il mio amore, è tornata.
Ecco è qui di fronte a me
con calze nere e una nera gonna cortissima
e quegli occhi verdissimi
come un gatto siamese...
Il mio amore è tornato
dopo che ho patito abbastanza
e prima che la pena potesse alleviarsi
giusto in tempo!
(Mi chiede dei tre mesi passati senza di lei
con quante persone ho dormito
1 2 3 4 –in verità nessuno-
9 donne e 5 uomini le rispondo
storce le labbra, ma che importa
è tornata da me).
Il mio amore è partito
per prendere il primo aereo di domani
e io sono rimasto di nuovo al centro di Londra
qui là
se vi rimanessi che bello sarebbe
fra tre mesi sembra tornerà di nuovo
con in mano fiori di narciso.*

* ritornello amoroso, leggilo e leggilo ancora...

(....)

Vado via, non mi aspettare

Non mi aspettare ti ho punita per la vita
Notizie da me cesseranno di arrivare
E così pure cartoline di una città che si apre sul mare.

Vado via, non mi aspettare
continua la tua vita in quella tomba da faraone
con le infinite solitudini dei tuoi pezzi unici
e con la tua gomma da masticare.

(E poi non v’è nulla di triste in quest’addio
l’amore nella nostra epoca è stato diagnosticato
come una malattia mentale)

Vado via, non aspettare
sei una bugia che inganna se stessa tu
e mai ascolti me
né permetti al silenzio
di poterti dire la verità dell’anima.

Vado via... ‘Se vuoi andare, vattene!’
Ma leggo dai tuoi sguardi che sono fissi su di me
la passione che non lascia libertà all’uomo
e francamente ho paura che tu mi uccida.
(E ho ancora molte altre ragioni per andare via.)

Ogni cosa si perdona col tempo
ma l’Amore non perdona mai etc.

Istanbul-Parigi-Londra, 1985-1987


VECCHI CANTI A NEAPOLIS

Mia nonna viene da Neapolis

Mia nonna passa davanti al caffè
gli stivaletti alti sottili i tacchi
tic tac tac tic
Dagli uomini sguardi e risa
Mia nonna dice così:
‘Eh avreste dovuto vedermi in gioventù’
tic tac tac tic
gli stivaletti che vedo io invece
sono l’uno caffè e altro color della pece
tic tac tac tic

Mia nonna è sì svagata, ma fiera.


Amaro Albero d’olivo

Ancor prima che me lo dicessero
avevo capito che l’albero d’olivo era mio nonno.
Le braccia rugose ricoperte di pelle legnosa
il volto radioso, lo sguardo buio.
Anche quando mi vede da lontano mi riconosce,
agita i suoi rami e sussurra frondoso.
Dicono che mio nonno l’avesse piantato prima di morire –
un fusto così vigoroso, un profumo così delicato
le foglioline mai prive di sorriso
Ancor prima che me lo dicessero
avevo capito che era mio nonno.

Le sue foglie d’argento bruciano per me come incenso
nonno caro, Amaro Albero d’Olivo.


Palme

Palme in lunghe file
nei palmi aperti al cielo
recano i primi raggi del sole.
Ciascuna sgrana i trentatrè grani del rosario
Palme da datteri di miele
dai deserti volano a noi verdi tappeti per le preghiere
palme palme palme.
Le foglie sono le loro dita
e le dita tra ali di colomba
cipressi, tegole, fili elettrici
e antenne televisive
svettano come vecchi dervisci

ricordi...


Un giorno in Grecia

Mentre noi dormivamo hanno scritto ELLADA sulla nostra porta
e quando abbiamo riaperto gli occhi
ci siamo ritrovati in Grecia!

Timorosi di accendere le luci
e di parlare
ognuno di noi è come un ospite nella sua stessa casa.
Senza il permesso dei padroni di casa
non possiamo uscire neanche in giardino.
A chi chiede di noi,
“Sono volati in Grecia” risponde mio zio.

Gli alberi tristi
mi guardano dalla finestra
O noi non siamo noi stessi
Oppure non è nostra la nostra casa.

Neapolis-Nicosia, 1986


PIERO VOGLIO CHE TU MI UCCIDA

Piero voglio che tu mi uccida
non posso trascinare me stesso fino a Venezia
cerco un sistema molto rapido per togliermi la vita.
Piero ho parcheggiato la mia motocicletta da te
a quest’ora non badano al traffico, mio signore
prima che scatti il verde uccidimi.
Piero ho iniziato ad Atene questo canto
Tu l’altro-mondo delle icone dalla pelle d’argento
io nell’olio bruciante di lampade ex voto
Oh Signore di Tutte le cose estingui la mia fiamma.
Piero mio piccolo angelo della morte
tendendo l’arco verso di me nella pietra nuda
Piero questo mondo è pieno di cattiveria
Per favore portami in paradiso
Piero non posso consegnarmi alla vita
né rimanere in silenzio né fuggire
probabilmente non mi è possibile vivere
Piero potrei questa sera seppellirmi in te?
Piero mio piccolo angelo della morte
Piero voglio che tu mi uccida
Piero andiamo.

Atene, 1988


AUTOBUS NOTTURNO
A Barış

Le donne giacevano a terra con ferite da coltello terribili
non si è fermato a nessuna fermata l’autobus
alle grida nei corridoi hanno chiuso a chiave le porte
quelli che vivevano al piano di sopra

Con dolci brividi ho guardato lo stesso film ogni notte
e ogni giorno ho imparato a memoria la mia parte
e aspettato il mio turno
per vedere il mio volto sullo schermo –
pagando il biglietto sono entrato dentro me stesso.

La notte lo ha baciato sulla fronte, sulle labbra
aprendo la porta gli ha mostrato il suo posto
– né maschio né femmina –
bambole di plastica prodotte per risvegliare la carne
hanno deambulato intorno alla casa della lussuria con rossi liquori

Ci è stato chiesto il nostro nome – non lo abbiamo trovato –
Sottratti a noi stessi da cavalli dalle ali scure
la notte haa mutato i nostri vestiti
e affrancando i nostri capelli con francobolli dorati
ci ha spedito sotto terra.

Le donne giacevano a terra con ferite da coltello terribili
non si è fermato a nessuna fermata l’autobus

Londra, 1988


PANORAMA

Arodes è un villaggio di 72 abitanti
incluso anche me.
Come tutti gli altri vado in chiesa di domenica
- mio padre era un buon kemalista-
Come tutti gli altri voto comunista, prego
Cristo e Cristofias.
E faccio gli occhi dolci all’unica ragazza del villaggio
- la loro casa è sulla collina che guarda sul mare
e ogni giorno con la mia bicicletta sono lì di passaggio. –
Di solito verso le nove siamo ancora a letto
galline, asinelli, capre, piccioni...
Questo è un posto per la sua bellezza famoso:
di mattina nei vigneti,
verso sera nel ruscelletto tra gli oleandri che passa dagli ovili
continuo a camminare
- ma solo io guardo il panorama.-

Villaggio di Arodes, 1991


TEMPO DI GUERRA

Ero solito parlarmi dentro perché nessuno potesse ascoltarmi,
e in quel mio silenzio ognuno leggeva saggezza!
Non si doveva parlare in turco, era pericoloso
e il greco assolutamente proibito –
I grandi, che volevano salvarmi, aspettavano,
tutti col dito sul grilletto.
Del resto, tutti allora erano soldati volontari.
E l'inglese rimaneva nel mezzo, così
un esile tagliacarte a separare pagine di libri di scuola,
una lingua da parlare in certi momenti
specialmente con i greci!
Spesso ero incerto persino su quale fosse l’idioma
in cui versare le mie lacrime,
la vita che vivevo non era straniera, ma una delle sue traduzioni
la mia lingua madre era una cosa, la mia madre patria un'altra
e io, poi, un’altra cosa ancora –
Sin da quei giorni di oscuramento fu chiaro
che mai avrei potuto essere il poeta di nessun paese,
perché ero una minoranza. E ‘Libertà’ era
una parola soffocata nel lessico di ogni nazione...
Alla fine quelle tre lingue entrarono aggrovigliate nelle mie poesie
né i turchi né i greci
potevano udire la mia voce di dentro, né gli altri –
Ma non li biasimo, era tempo di guerra.

Villaggio di Arodes, 1991


LA CASA MORTA

Spazio bianco lasciato da un orologio a muro

Tavolo di noce dimentico del tempo

Impronte di dita deterse dalla polvere

Chiavi smarrite da tempo

Cassetta delle lettere serrata dalla ruggine

Sonno profondo di una vecchia, i suoi denti scordati
in un bicchiere

E questa macchina da scrivere che scrisse le prime poesie di mio padre, la casa dove mamma s'innamorò e morì - questa casa presa in ogni guerra, data alle fiamme, mitragliata, saccheggiata delle doti custodite in casse ottomane, e specchi, specchi che contemplavano nude tutte le donne della famiglia, specchi che velavano con drappi i loro volti - e tutti i fiori appassiti e perduti, tutti eccetto la selvatica odorosa fragranza di rose girovaghe - tempo che la bisnonna metteva da parte tra coperte di bianco merletto - questo piccolo fantasma tornato al luogo della sua morte - le lunghe e silenziose ombre di cipressi abbattuti - e ora tutti gli abitanti di questa casa scrutano la mezzanotte da foto che riecheggiano ancora di selvagge risate di guerra - un uomo in fez dimentico del suo sorridere guarda da dietro al vetro - e questa casa pensa a come mai quelli che uccisero tutto ciò che mi apparteneva lasciarono me vivo – A un tratto si accendono le luci nella camera del bimbo dove questa poesia è stata evocata

Casa Morta Casa Morta Casa Morta

Nient'altro che la poesia
Poteva riportarmi qui

Neapolis/Nicosia, 1988


LA PORTA! Lascia che bussino. Lascia

Ti consideri al sicuro dentro, senza mai aprire
da solo, chiuso.
La tua finestra da un solo occhio che guarda sul tempo esterno
è una televisione
di colore in colore di canale in canale zap zap zap.
La porta! Lascia che bussino.
Chi potrebbe mai essere, un amante?
Gli amanti, uomo o donna che siano, sono come finestre
ognuno si apre su un’altra avventura
a puntate zap zap. La porta!
Chiunque esso sia, vale forse la pena aprire proprio
ora?...La libertà è pur’essa prigione in realtà.

Dei due volti di Giano uno è una porta bianca, l’altro è una porta
nera. Lascia che resti chiusa.

Istanbul, 1995


LA RONDINE

A volte mi sento piangere nel sonno
ne ignoro la ragione
oppure al mio risveglio l’ho già dimenticata.
Ogni volta che sto per aprire gli occhi, esplodono
i titoli dei giornali. Se solo potessi svegliarmi dalla poesia
ma inchiodato qui, gridando senza lingua
invoco, invoco poesia…
A volte faccio l’amore con una persona senza volto
o forse non ricordo nessuno di quelli che ho amato.
Alcuni sogni mi riportano all’infanzia
la guerra non è scoppiata, le madri non sono morte
né tutte le persone che conoscevo sono andate via…
Ma tutto è così lontano che pur volendo non potrei ricordare
poi, improvvisamente, nel sonno prendo il volo
Volando, volando, sto volando.
Ma non riesco a capire dove mi trovo
In quale città, in quale stanza, in quale letto
su quale lato devo girare il mio volto
e nella lingua di chi rispondere alle domande
nel mio sogno. E poi prendo a confondere gli uccelli nel cielo:

Era una tortora, nooo un’allodola, forse una rondine
Si, credo fosse proprio una rondine
Lì sulla veranda della nostra casa a Lefka…
[ho detto la nostra casa?]
A volte mi sento piangere nel sonno.

La rondine: è molto vecchia, non ne ricordo il luogo, né la data


UN FANTASMA

Molti incisori fenici di epigrafi furono uccisi da guerrieri, pur essi fenici, perché non scrivessero che la guerra con le città greche doveva aver fine. Quelli che rimasero, continuarono a vivere sotto minaccia di morte, come fantasmi…
Da un’epigrafe a Idalio, Cipro VIII secolo a.C.


Solo da fantasma posso tornare nella mia casa
affiorando da specchi offuscati. Non ho molto tempo.
Spalanco le finestre, nell’oscurità il chiarore delle stelle
invade le stanze. Scuoto le tende, le lenzuola
che coprono la libreria. Devo togliere la polvere
dalle foto di famiglia. Inumidendo il vetro con il mio respiro.
Gli Angeli Vendicatori di questa casa dalle molte lingue, ora muta,
fanno promettere, a chiunque vi entri, di scrivere
(contro tutte queste guerre, contro ogni cosa nazionale. Anche delle lingue.)
Che si sparga qua e là polvere insetticida, naftalina,
quasi fossero parole incantate. Lavo i pavimenti. Poi chiudo a chiave
le porte e scompaio di nuovo senza che nessuno mi abbia visto.
Un fantasma… Non possono farmi uccidere

Nicosia-Londra 1997


VELENOSALINGUA

Si arriccia. La velenosalingua
anche senza volerlo morde il suo amato
mentre lo bacia.
Parole vomitate
leccano il silenzio. In un attimo
isola chi parla
da ciò che viene detto.
I dispetti dell’amore... (Le parole non dette
sono più pesanti di quelle che pronunciate.)
Si biforca la voce. Contraendosi
si induriscono
le cose che passano dal cuore.
L’incantesimo è rotto.
Al passaggio di una serpe
si scatena un putiferio nell’amore...

(Ciò che viene scritto
è più velenoso della lingua)

Londra,1997



LA VALIGIA

Sono entrati in casa, i ladri

Hanno aperto la valigia di cuoio borchiato…
lì dentro custodivamo l’odore materno
per tornare a respirarlo noi l’aprivamo timidamente
L’hanno aperta.
La gonna a pieghe di mia madre, il suo foulard color malva,
il twin set
i guanti, lo specchietto,
i suoi occhiali a farfalla, il grembiule da cucina a volant
il vestito con le violette cucito da lei stessa
la gonna e giacca di tartan, le pantofole,
il suo fazzolettino di seta
la cartina pieghevole del Libano
i suoi exercise book, la penna stilografica
la sua corrispondenza… polvere e sporco, polvere e sporco…
sia che diventi una o l’altra caserma militare
il trauma della guerra della Casa si ripete
ancora una volta c’è un’irruzione, ancora una volta
vengono infrante le serrature alle porte,
saccheggiata una vita ancora da vivere.

E saccheggiata pure una vita già morta.

Si tiene una Lista degli oggetti smarriti
ancora una volta, nella Casa che abbiamo assicurato invano…
L’assicurazione non riporta certo indietro
un album di pelle di gazzella le cui foto sono state disperse.

Né le registra come ‘oggetti di valore’.

Nicosia-Londra 1997-1998



A poet had to run to a frosty forest where he turned to a fox,
no one could recognise him in his feral fur but a poet
who has to run to a frosty forest where he turns to a fox,
no one can recognise him in his feral fur but a poet
who’ll have to run to a frosty forest where he'll turn to a fox...


CACCIA ALLA VOLPE

Di notte una volpe giunse alla porta, aspettò
e aspettò... Noi in casa dormivamo
lasciò il proprio odore al posto di quello del gelsomino e andò via.
Nel mio sogno mia madre, mia nonna, io eravamo in fila per il cibo,
la fila del campo profughi della Croce Rossa.
Nella borsa di mia madre un portagioie
sul portagioie decorato degli aristocratici
in guanti bianchi come gli attendenti della regina
senza dubbio venuti a dare caccia alla volpe
Al suono dei corni i cavalli si lanciano in corsa
e corrono i levrieri così veloci nel rincorrere
la piccola volpe che essa sfugge dal ritratto...
Mia madre pareva che vedesse mia nonna in quel portagioie
io nel mio sogno: “I rubini sono gli occhi si chi?”
I cacciatori si avvicinano! Mio Dio fa che non colpiscano la volpe
con i loro fucili da caccia mentre il sole scompare all’orizzonte
e fa che i liberatori della nazione che saccheggiano persino la nostra camera da letto
non possano rubare il nostro portagioie incantato.
“Non sai quanto è dispettosa la volpe?”
dice la voce della guida: “La volpe è furba, egoista
e sleale e di essa non ci si può affatto fidare”

“I bambini hanno paura del sangue” dice mia nonna:
“Sparate voi noi giriamo dall’altra parte”
Faccio un balzo al rimbombo dei fuochi d’aritificio, Cacciatori noooo!
Nella volpe c’è forse un poeta
nel poeta una poesia, e io in quella poesia ...

Londra, 1999


LADRO D’ANIME

Il nodo di Salomone: Io ossa, vetro, pâte de verre ammuffito
foglia su foglia di lacca e meridiana [Ripeti]

Padre acquisito, fratelli acquisiti, e chissà quanti amanti acquisiti
ti hanno rubato. Poiché il ladro di anime
vive nella vostra casa.
Madri naturali potrebbero anche essere matrigne
e i mariti sono soprattutto mariti acquisiti.
Chi ruba la tua anima è chi ti è più vicino;
di fatto sei tu che apri la porta e con trepidazione lo lasci entrare.
C’era da aspettarselo, occhi, occhi di malaugurio, che ti guardano,
ma i rivali, gli imitatori, i nemici non possono essere i tuoi ladri d’anima.
Il ladro d’anime è il traduttore del poeta. Trasforma te in se stesso,
oppure ti gira la faccia. Scopre la tua intima essenza
e cerca dentro di te come per afferrarti.
Diventa te, ma solo fino a che è soddisfatto, tu…
Tu riconoscerai il ladro d’anime da questo:
ti dirà, “Ti amo così tanto che io sono te”.
Mostrerà il suo favore
e il suo copulare sarà avido.
Anima mia, trasformati in pietra.
Ma non è, comunque, la parola pietra?
Fuoco lavato con acqua nell’aria?
Anima mia, fermati nella caverna custodita dal drago.
Resta nelle rocce.
Lingua mia, trasformati in pietra.
Perché tutto sta morendo,
il corpo nella tomba di roccia sta marcendo.
Persino l’anima…

O Caronte, traghettatore di anime, io sono scavato nella pietra
Anche se le tue vele sono riempite da sospiri di morti,
la mia anima è di pietra. [Ripeti]

Sono un pezzo di roccia scheggiato e appuntito: il nodo di Salomone.

Antiochia, 1999





© Mehmet Yashin – Rosita D’Amora. Traduzione e cura di Rosita D’Amora

Mehmet Yashin, Il drago ha anche le ali, 2008, Lecce: Argo -
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